Il Museo diffuso di Cavallino - intervista al prof. Francesco D’Andria

Dopo avere visitato il Museo diffuso di Cavallino e aver ammirato l’alto grado di civiltà raggiunto dai popoli che hanno abitato in passato questo territorio, il nostro gruppo ha voluto conoscere la storia di Cavallino e soprattutto l’archeologo che l’ ha resa nota: il professore dell’Università del Salento, Francesco D’ Andria. Questa statua rappresenta l’eroe messapico e simboleggia la potenza e la forza. Anticamente, per far paura, i guerrieri indossavano l’elmo con grandi corna, oppure la coda di cavallo. Il nudo è rappresentato come il David. Lo scudo è bellissimo! Esso rappresenta la Gorgone, mostro alato con le zampe di leone e la coda di un serpente marino che secondo il mito greco pietrificava con lo sguardo. La testa della Gorgone venne tagliata da un eroe greco e posta sullo scudo per allontanare gli spiriti maligni e far paura ai nemici. Anche per Cavallino, infatti, la statua dell’eroe messapico rappresenta un simbolo di protezione che allontana le forze negative.

Da quanti anni fa questo lavoro?

Amo l’archeologia, mi piace moltissimo capire le nostre origini, cosa c’era tanti anni fa. C’è tutta una storia che ci ha preceduto e noi siamo il risultato di questa lunga storia. L’archeologia mi ha sempre interessato moltissimo. Già quando ero ragazzo e frequentavo il liceo classico a Taranto era nato in me questo interesse. Ogni volta che vedevo un cantiere mi avvicinavo ed ero colpito da cumuli di terra, cocci, anche alcuni con immagini, e allora ho deciso che avrei fatto l’archeologo. Nella vita se non c’è una passione, una spinta che nasce dal cuore, le cose non vengono. Qualsiasi cosa facciamo bisogna che nasca dal cuore. Amare l’antichità, ma il passato non deve essere un rifiutare il presente. Se la nostra conoscenza del passato non fosse usata per essere più consapevoli della situazione attuale, non servirebbe. Bisogna amare il passato e metterlo al servizio del futuro.

Cosa l’ha spinta a iniziare questo lavoro?

Quando ero al liceo ho partecipato ad un viaggio di studio in Grecia. Ho visto l’Acropoli di Atene, il Partenone e sono rimasto talmente colpito che ho deciso che avrei fatto l’archeologo, lavoro che permette di verificare con gli scavi se le cose che narra la storia sono veramente accadute. Ad esempio, sappiamo che gli antichi abitanti del Salento erano i Messapi, e per scoprire come vivevano, che lingua parlavano, bisogna cercare i resti, le iscrizioni. Prima dello scavo, si cerca di ricostruire, immaginando. Dopo lo scavo si trovano le conferme, testimonianze di ciò che è esistito davvero. Il Salento è ricchissimo di queste iscrizioni messapiche. A Cavallino abbiamo trovato un insieme di iscrizioni molto importanti. Leggendole si comincia a capire la lingua che parlavano, che era molto diversa dall’italiano. Queste iscrizioni si trovano in particolar modo nei blocchi di pietra e vi si trovano i nomi delle divinità, dei personaggi importanti…. Le lettere sono greche, sono prese dall’alfabeto greco, ma i Messapi parlavano una lingua diversa del greco.

Durante gli scavi di Cavallino avete trovato anche resti umani?

Quando si scava in una città antica trovi le case in cui la gente viveva, le cisterne da cui prendeva l’acqua e le necropoli, cioè i cimiteri di 2500 anni fa. Se si scava in una necropoli si trovano anche i resti umani, che sono utilissimi per capire come vivevano i Messapi, quali erano le malattie, che tipo di alimentazione avevano, a che età morivano. C’era una mortalità maggiore in età infantile. Infatti spesso nei giardini delle case seppellivano i bambini chiusi in vasi a forma di uovo.

Come si è arrivati a scoprire che sotto i terreni coltivati c’erano resti di un’antica civiltà?

La tecnica principalmente usata è la fotografia aerea, come radiografie del terreno. Dall’alto si vedono strade, solchi che non sono visibili ad occhio nudo. Quindi si riesce a capire se c’è un muro, una strada, delle tombe, dei tumuli, tombe costruite come collinette di pietra, di forma circolare. Attraverso la foto aerea si riesce a leggere il terreno e a capire dove ci sono resti antichi.

Di cosa si nutrivano i Messapi?

Posso dire con sicurezza cosa non mangiavano. Sicuramente non mangiavano le patate, i pomodori, le angurie, perché sono arrivati da noi dopo la scoperta dell’America. La base della loro alimentazione erano i cereali, il grano, il vino, l’uva, l’olio. Spesso troviamo negli scavi i semi di uva. Il gusto del vino antico era diverso da quello di oggi, perché lo mescolavano sempre con acqua e lo aromatizzavano. Arrostivano la carne, il maiale, i cervi, perché qui c’erano i boschi e spesso troviamo le corna dei cervi.

Che lavori facevano i Messapi?

Si dedicavano all’agricoltura. A Cavallino, negli scavi, abbiamo trovato molte macine di pietra usate per il grano. I contadini falciavano e le donne macinavano.

Nel 2003 si è inaugurato il Museo diffuso di Cavallino. A lei, in quell’occasione, è stata conferita la cittadinanza onoraria, dall’amministrazione comunale, per l’impegno nella valorizzazione dei beni culturali di tutto il territorio salentino, e in particolare di quello di Cavallino. Cosa ci può dire di tale riconoscimento?

Sono stato molto contento, è stato un grande onore e il sindaco mi ha fatto una sorpresa. La gente di Cavallino non mi accettava, quando ho iniziato a dire che tutta quella zona doveva essere salvata e che non si poteva costruire. C’era già la lottizzazione in corso , ma mi sono impegnato a salvare la zona archeologica. Dopo di che mi hanno stimato molto e sono felice di questo riconoscimento.

Quali sono i rapporti tra l’Università di Lecce e il Museo diffuso?

L’Università del Salento ha comprato circa 15 ettari di zona archeologica, e 20 ettari sono del Comune, che ha ceduto il convento di San Domenico all’Università.

Attualmente qual è il senso del Museo diffuso?

Il senso del Museo diffuso è quello di creare all’interno del Salento un’esperienza di qualità.

Noi abbiamo visitato recentemente il Museo diffuso, con una guida. La sensazione è stata quella di fare un salto nel passato e rivivere la civiltà messapica. Come mai gli individui possono specchiarsi nel paesaggio storico che il Museo rappresenta?

Cercando un’emozione diversa, cercando di estrarre da quello che vedi tutta la bellezza. Perché la bellezza è una grande forza per vivere meglio. Dobbiamo cercare di prendere tutto quello che di buono e di bello la vita ci può dare. Una delle cose belle è questa: vedere un antico paesaggio salentino conservato.

Il museo diffuso ha contribuito a rendere Cavallino città d’arte e di cultura?

Direi di sì, ma non solo il museo diffuso: la statua, il convento, la grande galleria…

Qual è la scoperta che l’ha entusiasmata di più?

Ho lavorato dappertutto. In Turchia c’è una missione importante, e lì, l’anno scorso, abbiamo trovato una statua di marmo alta 4 metri, risalente al secondo secolo d.C. Se ne è parlato anche al Tg1, è stato fatto un programma con Federico Fazzuoli . L’archeologia dà sempre queste belle esperienze di scoperte importanti.

Perché i Messapi si insediarono proprio qui a Cavallino?

Le scelte degli insediamenti sono molto complesse e dipendono dal carattere degli uomini. Qui nel Salento abbiamo una situazione pianeggiante. Noi siamo nella Valle della Cupa, un avvallamento naturale che è una zona agricola. Intorno alla zona agricola sono state costruite diverse città, come Cavallino. La scelta di questi insediamenti dipende appunto dal fatto che era una zona adatta per l’agricoltura.

Che tipo di governo esisteva nella civiltà messapica?

Erano organizzati in tribù. C’era un capo-tribù che guidava i clan familiari, non uno stato come oggi. Ogni clan controllava un pezzo di territorio, ogni famiglia nobile.

Che differenza c’è tra Greci e Messapi?

Sono popoli diversi, che parlano lingue diverse e hanno culture diverse. I Greci vivevano in Grecia e i Messapi nel Salento.

Quanto tempo hanno vissuto i Messapi a Cavallino?

Hanno iniziato a occupare questa zona nel X sec. a. C., e sono arrivati fino al V a.C., quindi hanno vissuto qui circa 400 anni. Infatti quando scaviamo troviamo gli strati da cui si capisce l’evoluzione di quel popolo, che nel V sec. a. C. venne sterminato dai nemici. Grazie a questi scavi possiamo capire meglio una civiltà che è insomma alle origini della nostra identità. Siamo discendenti dei Messapi, perché Messapia significa appunto “La terra di mezzo”, la striscia di terra che si trova tra due mari: Adriatico e Ionio.

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