Riflessioni sul lockdown

È stato il 5 marzo l’ultimo giorno che ci siamo visti fisicamente con i ragazzi del Centro.  Poi ci è stato comunicato di rimanere a casa a causa del Coronavirus, ma tutto questo non ci ha fermato: è stato creato un gruppo su whatsapp, che ci ha concesso di vederci e di sentirci. Le giornate le ho trascorse così: sveglia presto al mattino, in modo da sbrigare le faccende domestiche; dopo pranzo un po’ di riposo e al risveglio un po’ di lettura. Ogni tanto mi affacciavo fuori e per puro caso vedevo una scritta sulla strada, che diceva: “Io resto a casa, andrà tutto bene”, quello che ci auguravamo tutti per poter uscire quanto prima da quella strana situazione, che ci costringeva a rimanere in casa. Questa situazione ha portato alcune conseguenze: i negozianti vicino casa mia sono stati costretti a chiudere e ad adeguarsi alle normative vigenti emanate dallo Stato. Se prima con alcuni negozi aperti c’era un viavai di gente, con i negozi chiusi è mutato lo scenario del paese, non tanto la mattina, quanto il pomeriggio, caratterizzato da un silenzio inaudito, inaspettato, che quasi faceva paura. Questo virus man mano si è diffuso al Nord Italia già da febbraio, per poi propagarsi a macchia d’olio in tutta Italia. L’Italia è diventata così zona rossa, costringendoci ad indossare mascherine e guanti. Purtroppo abbiamo assistito a centinaia di persone che non ce l’hanno fatta ed è stato toccante vedere i camion dell’esercito portar via le salme, vedere entrare in ospedale chi è stato contagiato dal virus, chi non ha potuto vedere i suoi cari per un ultimo saluto, un abbraccio. La pandemia ha colpito le persone più anziane, con malattie pregresse. Molti sono anche i medici che sono stati infettati, e tanti con grande dignità sono stati vicini agli ammalati fino allo stremo delle loro forze. Molti gli anziani colpiti dal virus anche nelle case di riposo. Cosa è successo? È guerra? È stata combattuta una guerra diversa, contro un nemico “invisibile”, che ha messo a dura prova tutto il nostro sistema sanitario. Noi  abbiamo cercato con il nostro calore di stare vicino a tutti gli operatori sanitari, che si sono comportati da “eroi”. Mi raccontavano i nonni che in tempo di guerra con la carestia si andava a prendere il pane con la “tessera”; oggi, nella società consumistica basta comporre un numero telefonico per farti consegnare la spesa a casa. Così ci siamo ritrovati tutti sulla stessa barca, per mantenere le nostre relazioni siamo entrati in tutte le case utilizzando lo smartphone, con chiamate e videochiamate; ci siamo sentiti vicini come non mai, per sdrammatizzare parlavamo di banalità che ci facevano sorridere. Alcuni cittadini hanno organizzato flash mob, dalle proprie finestre per applaudire e ringraziare tutti coloro che stavano lavorando per noi negli ospedali e questo sentirsi uniti ci incoraggiava a superare il momento. Poi ci sono state altre iniziative, tipo quella di illuminare il cielo dalle finestre con una torcia: un piccolo grande gesto che facesse vedere al mondo tramite il satellite che l’Italia era viva, che noi italiani eravamo vivi, compatti e forti, perché solo uniti si può vincere. Mi chiedo quando ne usciremo e mi auguro di non tornare a com’eravamo ma ancora migliori.

Tags: